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ai quali non erano nè atti, nè sufficienti le scarse e deboli milizie sparpagliate per lo Stato.

Ma questo provvedimento incontrava le più fiere opposizioni in quasi tutti coloro che circondavano il Papa, e nello stesso cardinale Gizzi, segretario di Stato, il quale gabellato, fin li, per liberale, era invece devoto agli interessi della sua casta e tenero dei privilegi della teocrazia e che, perciò, era convinto che se il Papa concedesse la guardia civica, sarebbe cacciato da Roma con quelle medesime armi che egli ora affidava ai cittadini. Egli pertanto non voleva che la milizia cittadina a Roma potesse oltrepassare il numero di millequattrocento uomini, cento per rione; e, poichè il Papa, pressato, pressava lui, egli nicchiava e recalcitrava. Alla fine fu costretto a cedere e allora il 5 luglio pubblicò la notificazione con cui si istituiva la guardia civica, ma, contemporaneamente, presentò le proprie dimissioni da segretario di Stato e a’ suoi famigliari andava ripetendo che «se per dodici soli mesi era rimasto nel Ministero, i cardinali che verrebbero dopo di lui non vi resterebbero sei mesi, essendo impossibile cosa ad un ministro di senno e di buone intenzioni lo andar d’accordo con un uomo . . . come Pio IX»1.

Con grande esultanza fu accolta in tutto lo Stato la pubblicazione della notificazione sulla guardia civica. Per Roma essa doveva essere formata di quattordici battaglioni e dovevano esservi ascritti tutti i cittadini dai ventuno ai sessantanni. Quattordici Commissioni di tre cittadini per ciascuna furono nominate per procedere, ognuna nel proprio rione, all’iscrizione e all’ordinamento dei militi del rispettivo battaglione.

In questo, mentre grandissima impressione facevano le notizie che si venivano divulgando intorno alla ferocia delle repressioni usate in Parma nel giorno 16 giugno e nei successivi contro la inerme popolazione festeggiante, pacificamente, l’anniversario della elezione del pontefice Pio IX. Già un decreto della Duchessa aveva proibito ne’ suoi Stati - incredibile, ma vero! - la introduzione e la lettura dei giornali, anche di quelli che si stampavano, sotto la vigilanza della censura austriaca, a Milano. Il conte di Bombelles, oriundo francese, austriaco d’anima,

  1. L. C. Farini, op. cit., lib. II, cap. IV, pag. 200.