Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo terzo | 175 |
governatore al Dragonetti che restasse in Roma, purchè si astenesse prudentemente coi suoi discorsi onde non porre in una falsa posizione il Governo pontificio con quel di Napoli»1. Con queste parole lo Spada, che aveva voluto negare le pressioni della polizia partenopea, viene ad ammettere e confessare che effettivamente le premure per Io sfratto del Dragonetti erano provenute dal Governo borbonico.
Finalmente, dopo lungo ponzare, il 14 giugno venne fuori il motu proprio col quale si ordinava il Consiglio dei ministri, concessione sulla tardività e insufficienza della quale non pur sollevarono rispettose e quasi timide osservazioni a quei dì il progressista Sterbini e il moderato Orioli 2, ma moltissimi storici delle cose italiane di quel tempo, e, tra essi, anche alcuni assai moderati quali il Grandoni, il Farini, il Rey e il Ranalli. Infatti quel Consiglio dei ministri a che si riduceva? «Il segretario di Stato ne era presidente, ed aveva le cose interne, e rimase il cardinal Gizzi. Al cardinale camerlengo di Santa Chiesa vennero deferiti agricoltura e commercio, e fu Riario-Sforza. Il prefetto alle acque e strade fu ministro dei lavori pubblici, e rimase il cardinal Massimo. La presidenza delle armi divenne ministero di guerra, e si diede a monsignor Lavinio Spada. Il tesoriere generale Giacomo Antonelli diventò ministro di finanza; infine il governatore di Roma monsignor Grassellini ritenne la polizia. I soli Gizzi, Antonelli e Spada, senza essere liberali, sapeano adattarsi al momento; gli altri erano dichiarati nemici di libertà, gregoriani, impari all’ufficio per ingegno, e per notissimi fatti impopolari ed odiati. Così il vecchio Governo era virtualmente condannato, il nuovo inetto a costituirsi un proprio fondamento. Respinto il sistema della repressione violenta, non istabilito fortemente quello della legalità, unico vincolo tra governanti e governati, rimanevano l’entusiasmo, la confidenza; ma questa, già sì labile e fugace per sé, anzichè accresciuta, venìa di molto scemata dal rimanere in carica quasi tutti gli ufficiati di Gregorio, i quali o