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168 | ciceruacchio e don pirlone |
Qui patrio amor v'infiammi e vi maturi |
Se i miei lettori vorranno por mente all’intonazione di tutti questi discorsi e specialmente ai sentimenti espressi nella canzone del Poerio; se vorranno, col pensiero, trasferirsi in quella età in cui così si parlava, si pensava, si sentiva e si scriveva; se vorranno rammentare che quella età era piena delle nobili querele di uomini quali il Lamennais, il Rosmini, il Gioberti, sebbene discordi fra di loro nei mezzi, concordi nel fine della necessità di una riforma della Chiesa cattolica; se vorranno, con questi fatti, rannodar gli altri dei sentimenti cioè o religiosi, spiritualisti da cui erano animati il Pellico, il Manzoni, il Balbo, il Mamiani, il Tommaseo, il Montanelli e financo il Mazzini, per non dire di moltissimi altri minori; se tutto ciò vorranno fare e faranno i miei lettori, essi agevolmente si renderanno conto di quel duplice sentimento che, consapevoli o inconsapevoli che ne fossero gli uomini, serpeggiava in mezzo al popolo italiano e tutto lo agitava e lo commuoveva, duplice sentimento che aveva per fine due ideali: ricostituire la fede religiosa nella coscienza italiana, fatta vuota ed arida dalla politica, dalla coltura, dallo scetticismo del cinquecento e dal successivo servaggio che ne era stato l’effetto; e ricostituire nella unità e nell’indipendenza il nome, la grandezza e la potenza d’Italia.
Dei quali due ideali uno, cioè la rigenerazione politica, è stato tramutato in fatto; l’altro, la rigenerazione morale e religiosa, è ancora lontano dall’essere attuato e rimane desiderio ardente di parecchi alti pensatori e sembra destare minor interesse proprio in quel Vaticano, ove dovrebbe essere più vivamente carezzato. Il dissidio fra lo Stato e la Chiesa, mantenuto ardente dalle ischeletrite congreghe gesuitiche e dai pregia-