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capitolo terzo 167

religione, ha provato e sentito egli pure tutto ciò dinanzi a Roma:

Anch’io l’ebbrezza arcana
Che da tua sovrumana
Beltà piove nell’alto della mente,
Avido bebbi,
E tocco m’ebbi
Il cor di colpo tal che Dio ne lodo.
E in te mirabilmente
Mi balenaro
Future cose;
Né mai più chiaro
Obietto a vista corporal rispose.
Già l’italico fato
Concetto è nel tuo seno;
Lento verrà, ma pieno
Il tempo disiato.

E, illudendosi anch’egli sull’indole di Pio IX e attribuendo gli pure al Pontefice i suoi pensamenti, le sue speranze e i suoi desiderii, prevede, nella strofa susseguente, nientemeno che la rinuncia del Papa al potere temporale:

Ovunque l’idioma
Del sì risuona, o Roma
Fra splendide sorelle alta reina,
Allor sarai;
Più giusta assai
Gloria e letizia che all’età superba
Della tua gran rapina.
L’orma di Dio
Non si consuma;
Ti sarà pio
Sempre il mondo così com’ei costuma.
Ma il tuo Pastor contento
Degli spirti all’impero
Come il Pastor primiero.
Non curerà d’argomento.

Nella chiusa eccita gl’Italiani ad accorrere quasi a luogo auspici a Roma e, con pensiero fra l’ascetico e l’accorato, santifica l’amor di patria:

Qui venite ove posa,
Come donna pensosa,
Sul fosco Tebro la fatai cittade.
Qui v’arda zelo
Conscio del cielo;