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capitolo terzo 159

e provincia, sulla vetta del Gianicolo e precisamente sotto la quercia del Tasso a sant’Onofrio. Vi intervennero duecento persone fra le quali i principi Aldobrandini, Conti, Corsini, Doria, il duca Mario Massimo, i tre duchi Torlonia, Bartolomeo dei principi Ruspoli, il D’Azeglio, l’Orioli, lo Sterbini, i quali tre ultimi pronunciarono discorsi e brindisi, cui fecero eco poesie del Guerrini e del Benai1.

Questi lesse venticinque sestine in dialetto romanesco, delle quali mi piace riferire qui taluna. Dopo aver detto che fu svegliato la notte innanzi da una voce che gl’ingiungeva di cantare nel banchetto del giorno susseguente, nella sestina quarta, canta:

 Dò subbito de guanto ar colascione,
Che s’era tutto quanto imporverato,
Perchè stava buttato in d’un cantone
A bocca sotto e mezzo sfracassato;
Le corde tocco ch’ereno un po’ zoppe
E comincio a cantà, via co’ le toppe.

 Musetta bella, viemme a dà ’na mano,
Aiuteme tu a dine quarche cosa
Der nostro gran Pontefice romano.
Le virtù, la cremenza prodiggiosa,
Li pregi sui so tanti da cantane
Che nun so da che parte cuminciane.

Poi si rivolge il Benai all’ombra del gran Torquato e l’eccita a sorgere per cantare degnamente di Pio IX:

  Artro che er tu Rinardo e er tu Tancredo
Che co’ le sgrinfle er tempo se sprecavano,
In der mentre che ar povero Guffredo
Li Turcacci le farde arifilavano;
L’Eroe che der mi canto è l’argomento
De li tu’ burattini ne vo’ cento.

E imprende a celebrare le virtù di Pio IX e, dopo aver levato a cielo l’atto del perdono, fustiga terribilmente il passato governo reazionario:

 Tempo già fune..... Quanti l’hanno dette
Ste tre parole? E l’ariprìco anch’io;
So’ finiti li ferri e le manette
Pe’ la venuta der nostro bon Pio;
Bastava de sta in tre na’ sittimana
Pe’ annà a vedé Civita Castellana.

  1. Da una Memoria inedita di Giuseppe Benai. Cf. con G. Spada, op. cit., vol. I, cap. XIII in principio.