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Nei quali versi, lasciando stare che Tirteo non avrebbe scritto quello bruttissimo del sangue; Che ne sarà colato, le argomentazioni per combattere gli scrupoli del Pontefice, sebbene un poco speciose, non mancano di molto valore.

E il poeta prosegue:

Parla, o sugli Austri l’itala
Vendetta erompa ornai,
Che d’essi al par sacrileghi
Non vide il mondo mai:
Oh! dillo tu miserrima
Terra d’eroi Poloni,
E gl’ingannati il dicano
Trucidator coloni
Glie la promessa austriaca
Fe’ mostri e poi tradì.

E tu, tu al mondo pubblica
piazza di Tarnovo
Fra le tue mura il teutono
Mercato orrendo e novo,
E i sanguinenti bamboli,
E i vegli mutilati,
E 1 palpitanti esanimi,
E i teschi comperati,
E un arciduca preside,
E l’oro che mancò.

Certo lo Stragi di Tarnovo, con tutta la difesa del Cantù, furono e restano cosa orrenda, ma anche questi versi, con cui quelle stragi furono descritte, sono brutti assai.

Ma il poeta, che non si è avveduto di essersi lasciato scivolare dalla penna una strofa tanto sciagurata, e poco curando la grammatica e unendo nel suo odio gesuiti ed Austriaci, e rispecchiando, cosi, ancora una volta, esattissimamente, la situazione, prosegue:

Mostri! . . . ed al fetido aëre
Della nequizia avvezzo
È il soffio lor che suscitai
De’ gesuiti il lezzo:
Mostri che i ferri affilano.
Che temprano il veleno.
Che stoltamente sperano
Dal tuo straziato sono
Fallita la grand’opera
Che il Cielo ti legò.