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capitolo terzo 115

si dovevauo ordire - all’interno, e specialmente a Roma, contro il Papa liberale dalla teocrazia, la quale vedeva bene come il fine a cui quella politica - oltrepassando le intenzioni dell’incauto Pio IX - fatalmente e inesorabilmente condurrebbe, sarebbe tutto rivolto ed unicamente a suo danno: i cardinali Lambruschini, Della Genga, Bernetti e la grande maggioranza del Sacro Collegio, la grande maggioranza dei prelati ben vedevano e comprendevano che si comincerebbe con lo spogliar loro dell’autorità e della potestà, onde fin qui essi soli erano stati investiti per trasferirla nei laici, e che si finirebbe, in un modo in un altro, o presto, o tardi con l’abolizione del potere temporale. E come, ciò temendo, intendendo e prevedendo, avrebbero essi potuto astenersi dal l’opporre tutti gli ostacoli possibili e immaginabili all’attuazione della politica sconsigliata di questo pazzo e insensato Pontefice - che tale essi dovevano giudicarlo e lo giudicavano?

E quindi essi adoperarono, naturalmente, tutte le arti e si unirono ai potentissimi gesuiti per intralciare, con ogni mezzo, la politica riformatrice di Pio IX, approffittando della sua inesperienza, della sua bontà, della sua debolezza, della sua esitazione, e, sopratutto, de’ suoi scrupoli religiosi, che essi abilmente andavano suscitando e sommovendo nell’animo suo, onde i turbamenti, gli ondeggiamenti, i tentennamenti di questo, fra i papi, vero Don Desiderio, disperato per eccesso di buon cuore.

Quindi fin dal 17 luglio 1846 da un lato opposizioni, più o meno palesi, da parte del Collegio cardinalizio, della prelatura, dei gesuiti; mal volere, inerzia, resistenza all’attuazione di qualsiasi riforma da parte della polizia, delle amministrazioni, della burocrazia: e, fin dal 17 luglio, un colpo al cerchio e l’altro alla botte - come già dissi - da parte del Pontefice.

Dall’altro lato, moderati e radicali, o esagerati, o esaltali come dicevasi allora - capitanando la grandissima maggioranza delle popolazioni, procedevano concordi sulla via delle dimostrazioni, concordi fino ad un certo punto, e, cioè, in questo, nel domandare al Pontefice, con lodi, con applausi, con popolari adulazioni, con espansione di vivi entusiasmi, quelle riforme che erano un bisogno immanente dello Stato romano, e che, qualunque fosse stato il successore di Gregorio XVI, o per via di evo-