Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/114


capitolo secondo 107

disfece da sè1 Pio IX era una favola immaginata per insegnare al popolo una verità; Pio IX era una poesia. Ecco come e perchè diventerà vero ciò che più tardi assai scriverà di lui sagacemente Aurelio Saffi: Il popolo romano e il rimanente degl’Italiani applaudivano in lui il tipo che si erano formati nell’animo. Il papa delle loro speranze e dei loro desidera non esistette mai nella storia»2; e altrove: «Pio IX fu il giuoco della Provvidenza in quella grande e religiosa opera, la quale nè da lui, nè da altra materiale forza di questa terra potrà più essere cancellata dalla memore tradizione del popolo e dai destini dell’avvenire».

Frattanto, per tornare alla narrazione dei fatti avvenuti in quei giorni, anche a Roma si costituiva un Comitato di soccorso a favore degli amnistiati poveri, il giorno 8 agosto il Papa nominava suo segretario di Stato il cardinale Pasquale Gizzi, lodato dal D’Azeglio nel suo libretto Gli ultimi casi di Romagna, e in voce di liberale, e il 22 dello stesso mese nominava una Commissione composta dei monsignori Antonelli, Grassellini, Marini, Roberti e del duca Mario Massimo di Rignano per esaminare i vari progetti presentati per le strade ferrate.

Fra questi progetti primeggiava, per idee democratiche, sebbene in gran parte utopistiche, quello presentato dalla Società presieduta dal principe Cosimo Conti, l’ultimo rampollo di questa antica e illustre famiglia, la quale avea dato undici fra papi e antipapi alla Chiesa di Roma e le cui origini si perdono nel buio del secolo ix. Alla Società Nazionale principe Conti e Compagni, di cui era segretario generale ed apostolo Ottavio Gigli, diedero il concorso del loro nome e della loro adesione e cooperazione le persone più autorevoli di Roma e dello Stato. Nel Comitato promotore figuravano i principi Conti, Corsini, Simo-

  1. Dimostrerò, a suo luogo, l’erroneità di questa seconda affermazione dell’illustre lombardo: Pio IX non si disfece da sè, fu disfatto dalla inesorabilità della contraddizione fragrante in cui si dibattè per oltre due anni; fu disfatto dalla logica inflessibile della storia, la quale non poteva consentire e non acconsenti nè la duplicità degli uffici di pontefice cattolico e di principe italiano, di uomo dogmatico e di liberale nella stessa persona, nè la conciliazione di interessi e di diritti in completo antagonismo fra di loro.
  2. Aurelio Saffi, Storia di Roma dal giugno 1846 al 9 febbraio 1849, Firenze, tipografia G. Barbèra 1893, parte I, cap. I, pag. 33 e cap. II, pag. 48.