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   La reggia, l’altare perquote quel Dio,
Che g’iusto nell’ira, in preda all’oblio
E sabbati, e feste per sempre darà.
Pei trivi fangosi, in lacero ammanto,
Invano a chi passa mostrando il suo pianto,
Le scarne sue mani Sionne alzerà.

   Ai padri insepolti nè un pianto, nè un’urna,
Ma lupo montano, ma cagna notturna
Gli avanzi dei corvi verranno a rapir.
E i figli lontani dal patrio terreno
Col pianto, sull’urne dei padri nemmeno
Il pane de’ schiavi potranno condir.

Anche nella sua tragedia La Vestale, quantunque classicamente convenzionale, vi sono, qua e là, frammenti di robusta poesia.

Coinvolto nella cospirazione, in cui si era preparata la sommossa a Roma il 12 febbraio 1831, Pietro Sterbini riusci a sottrarsi a tempo alle persecuzioni della polizia e a rifugiarsi prima a Parigi poscia a Marsiglia, ove egli conobbe Mazzini, e dove fissò la sua dimora, un po’ esercitandovi la medicina e un po’ cospirandovi ed agitandovisi, come richiedeva la sua irrequieta natura. Assorbente, invadente, desideroso di primeggiare, egli si procacciò qualche ammiratore e parecchi nemici, che non tralasciarono di proseguirlo del loro odio e delle loro diffamazioni. Onde fu accusato di aver tenute pratiche segrete coi ministri del Borbone e di avere a quelli denunciate alcune trame della Giovine Italia ai danni del Governo napoletano1.

Il Gualterio afferma che, appena salito al trono Pio IX, lo Sterbini facesse indirizzare da’ suoi amici di Roma vive istanze al nuovo Pontefice perchè gli volesse accordare il perdono2. Ed è probabile che ciò sia vero. Ad ogni modo è certo che eglL tornò subito a Roma, vi riallacciò le vecchie e vi strinse nuove amicizie, si agitò, al solito, col pensiero, con la parola, con l’azione sempre turbolento e sempre con operosità febbrile ed instancabile lena. E certo è altresì che, in prosa e in poesia, egli lodò specialmente nei primi mesi, con sincero entusiasmo, Pio IX.


  1. La rivoluzione romana al giudizio degl’imparziali, lib. I, cap. XIII, pag. 132 e 133. L’accusa è confermata dal Gualterio, opera cit., vol. V, cap. I, pag. 342 e 343; ma non essendo confortata di alcuna prova non può essere dalia storia accettata come vera.
  2. F. A. Gualterio, ivi.