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vedeva, e non poteva sapere e prevedere, dove la inconciliabilità di Papa e di Principe nella stessa persona avrebbe, fra tre anni, condotto lui stesso e Pio IX, chiudeva la sua corrispondenza sui festeggiamenti di Recanati, con le seguenti parole: «Forse non è sua mercè - allude a Pio IX - se l’atto del 16 luglio ha avanzato di centi anni la civiltà delle sue Provincie e del suo Stato, che vede ogni giorno ravvivarsi, la speranza di istituzioni benefiche della istruzione, della religione e del commercio, che. sono la triplice pietra per cui sorge l’edificio del benessere dei popoli?»

Ma fra i tanti poeti che inneggiarono al nuovo Pontefice, non perchè Pontefice soltanto, ma perchè Pontefice riformatore, non possono non essere notati due letterati, illustri molto a quei tempo, il cav. Dionigi Strocchi, faentino, e il prof. Antonio Mezzanotte, perugino.

Lo Strocchi, oltre all’aver dettata una epigrafe, da essere scolpita in marmo, a celebrar l’amnistia, nella sua Faenza, diede fuori anche un’ottava, la quale, se era molto libera nei sentimenti, non era composta degli otto migliori versi usciti, fin lì, dalla penna dell’autore. Eccola; ne potranno giudicare i lettori:

Del Re dei Regi immagine vivace
Fulgida speme alla discordia nostra.
Or tua mercè succede Iri di pace
Al bollor cieco di fraterna giostra;
Adempia altri desir Tempo seguace;
Di libero voler gli effetti mostra;
E ponendo confine ai casi amari
L'orbe di Te meravigliando impari.

Tutta molle di arcadiche rugiade procede, invece, l’ode del professor Mezzanotte, il quale aveva già cantato l’amnistia nel 1838, largita alle popolazioni Lombardo-Venete dal nuovo imperatore Ferdinando e che grida:

   Or del Tebro appo le ondisene
Rive assiso, in suon più lieto
Di dolcezza inenarrabile
Questa or io voce ripeto:
Che Dio stesso ogrgi perdona,
Se perdon da Pio si dona
Che somiglia al sommo sol.