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66 | capitolo iii. |
dello Spettatore un F. C, scrivendo un articolo sopra un poema epico d’argomento moderno, scherzasse un po’ intorno a quel saggio di traduzione del Leopardi. Questi se n’ebbe lì per lì un po’ a male, benché pigliasse la cosa con disinvoltura. Aveva supposto che l’F. C. fosse il suo parente Francesco Cassi di Pesaro; e quando l’anno dopo stampò a Milano dallo Stella la sua traduzione del secondo libro dell‘Eneide mise nel preambolo due parole di accenno a quello scherzo,1 e mandò una copia dell’opuscolo al Cassi, offrendogli la sua amicizia. Il Cassi rispose che l’autore dell’articolo firmato F. C. non era lui, e il Leopardi, dicendo le ragioni della sua supposizione, riconobbe che s’era ingannato.2
Il senso estetico e il critico, svegliatisi contemporaneamente, come dissi, nel nostro autore, furono i due elementi che primi cooperarono a trasformare l’erudito e il filologo nel poeta e nel pensatore; ma non furono i soli: ad essi se ne aggiunse più tardi un terzo, che compì, allargandola, l’opera della trasformazione. Il giovinetto diventò uomo: il suo cuore si destò; e si destarono nel cuore i più ardenti desiderii della gioventù: l’uomo cominciò a sentire l’impero della bellezza; ebbe intera la rivelazione della vita; acquistò pienissima la coscienza dell’essere suo. La trasformazione non avvenne d’un tratto, ma per un lento lavorio dello spirito; perciò gli effetti di esso si mostrarono per gradi a poco a poco. Il poeta il patriota precedettero, corno vedremo, o annunziarono il pensatore.