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studi giovanili 59

senza avvedermene mi son dato alle lettere belle, che prima non curava; e le cose mie ch’ella ha vedute, ed altre che non ha vedute, sono state fatte in questo tempo, sì che avendo sempre badato ai rami non ho fatto come la quercia che A vieppiù radicarsi il succo gira, Fer poi schernir d’Austro e di Borea l’onte: a fare il che mi sono adesso rivolto tutto.»1

Si capisce che la conversione non sarebbe avvenuta spontaneamente da sé, come avvenne, se durante gli studi d’erudizione l’ingegno del Leopardi non fosse stato aperto e sensibile alle bellezze dei grandi scrittori, specialmente dei poeti. Egli aveva un bel dire che disprezzava Omero, Dante, tutti i Classici: a noi è lecito non prestar fede alle sue parole, poiché egli stesso ce ne porge gli argomenti. Nella lettera con la quale dedicava al Mustoxidi il Saggio sopra gli errori popolari, composto, come s’è veduto, prima che avvenisse la sua conversione si leggono queste parole: «Io vo in estasi quando leggo gli scritti dei vostri cari Greci, e, ardisco dirlo, non cedo che a voi nel vivo trasporto per quegli incantati alberghi delle Muse, degnissimi di essere dispregiati da chi non può conoscerli.»2 - S’egli aveva tanta ammirazione per la poesia greca, come possiamo credere che veramente disprezzasse Omero? Le medesime copiose citazioni da poeti greci e latini di cui abbonda il Saggio non mostrano forse come fin d’allora, e prima d’allora, la poesia greca e romana fosse familiare al giovane erudito? E l’Inno a Nettuno, composto nel 1816, quando la famosa conversione era appena sul cominciare, non è anch’esso una prova (e qual prova!) dell’amore del giovine poeta per la poesia greca? E ciò ch’egli ne scrive al Giordani non è una prova che egli, se voleva con le note all’ Lino far opera d’erudito,

  1. Epistolario, vol. I, pag. 71.
  2. Scritti letterari di Giacomo Leopardi, ordinati da G. Mestica; Firenze, Le Monnier, 1899; vol. I, pag. 75, 76.