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56 | capitolo iii. |
una lettera, nella quale fra le altre cose è detto: «È pur bella cosa aver reso il suo nome inseparabile da quello di uno dei più grandi uomini cbe i secoli abbiano ammirati.» La stima ch’egli mostra fare di Frontone come scrittore è veramente eccessiva; ma è scusata dall’entusiasmo del giovine per l’importanza e la novità della scoperta; e la traduzione non è senza pregi, benché poi l’autore negli anni maturi la giudicasse «lavoro precipitoso e indegno di vedere la luce.» Precipitoso è veramente, perchè fu compiuto nei primi due mesi del 1816; e lontano certamente dalla perfezione della prosa leopardiana dei tempi migliori; ma può considerarsi come un primo passo verso quella perfezione. Il fatto poi che anche questo lavoro fu da lui consegnato al De Sinner, perchè lo facessepubblicare in Germania, mostra ch’egli in fondo, almeno per la sostanza, gli attribuiva qualche valore.
Il manoscritto consegnato al De Sinner è copia con correzioni dell’autore (un vol. di pag. XLV o 282): l’autografo, sul quale pubblicò poi l’opera il Cugnoni, supplendo a qualche mancanza col manoscritto fiorentino, si conserva nella biblioteca Leopardi di Recanati.
Al genere di lavori dei quali abbiamo parlato fin qui si può riportare il Volgarizzamento fatto dal nostro nel 1817 dei frammenti di Dionigi d’Alicarnasso, pubblicati dal Mai l’anno innanzi, e la breve dissertazione, in forma di lettera al Giordani, con la quale sostenne, contro l’opinione di lui e del Mai, che i frammenti erano veri e propri pozzi dei libri perduti delle Storie di Dionigi, non già di un compendio di esse. L’opinione fu lungamente dibattuta fra i dotti, e dal dibattito risultò che il Leopardi aveva ragione.
È incredibile il progresso fatto dal giovino erudito nei quattro anni dal 1813 al 1817. Sotto quell’immenso capitale di cognizioni ch’era venuto accumulando, l’ingegno di lui, lungi dal rimanere oppresso