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48 | capitolo ii. |
molto migliore, che per esser certa, e lo stato in cui vive buono, non lo inquieti e non lo turbi con l’impazienza di goder di questo immaginato bellissimo futuro. Questo divino stato l’ho provato io di 16 e 17 anni per alcuni mesi ad intervalli, trovandomi quietamente occupato negli studi senz’altri disturbi, e con la certa e tranquilla speranza di un lietissimo avvenire. E non lo proverò mai più, perchè questa tale speranza che sola può render l’uomo contento del presente, non può cadere se non in un giovane di quella tale età, o almeno esperienza.»1
Quando il poeta trovavasi in questo divino stato, egli certamente non aveva ancora avuta la rivelazione intera e spietata della sua infelicità, benché il corpo di lui avesse incominciato già a deformarsi. Tutto infatuato dell’ amore della gloria, e non tocco ancora dal desiderio della bellezza, non pensava, non guardava al suo corpo. Quando poco appresso ci guardò, fu troppo tardi. E dire che se Monaldo nel 1813 avesse dato ascolto ai consigli del cognato, forse la sorte di Giacomo sarebbe stata diversa!
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- ↑ Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura di Giacomo Leopardi; Firenze, Le Monnier, 1898; voi. I, pag. 187.