Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/56

26 capitolo ii.

tura (giacché seppi leggere ed amai di leggere assai presto).»1

Nei primi rudimenti il piccolo Giacomo e i fratelli Carlo e Paolina ebbero maestro quel Don Giuseppe Torres stato già precettore di Monaldo. I tre fanciulli avevano una grande vivacità, Giacomo più di tutti. Nella sala di studio la presenza del maestro e dello staffile (il quale, secondo la contessa Teresa Teia Leopardi, era brandito soltanto per ispauracchio2) li teneva attenti e tranquilli. Ma appena finita la lezione, i loro salti e i loro gridi risuonavano per le stanze quasi vuote e lungo le scale, per andare a perdersi fra gli alberi nei viali del giardino. Il padre non solo tollerava, ma favoriva, dice la Teia, i giuochi romorosi dei figliuoli: li tollerava, pare, anche la madre; o forse il romore non giungeva fino a lei. Più tardi si aggiunse alla chiassosa brigata il fratello Luigi, nato nel 1804.

I giuochi che più spesso facevano in giardino, oltre le corse e gli altri esercizi ginnastici, pei quali il padre aveva fatto provvedere palle, manubri ed altri arnesi, erano i giuochi più cari a tutti i ragazzi dai sei ai dodici anni, le finte battaglie. Queste battaglie, secondo un ricordo di Giacomo in quelli appunti manoscritti che ho citati sopra, erano imitate dalle omeriche e dalle romane: i combattenti prendevano i nomi omerici, o romani della guerra civile, e usavano per armi le coccole, i sassi, i bastoni, ed anche i pugni. «Nelle finte battaglie romane, diceva Carlo al Viani, egli (Giacomo) si metteva sempre primo. Ricordo ancora i pugni sonori che mi dava.»3 Giacomo poi dice che egli sceglieva sempre la parte di Pompeo e dava quella di Cesare a suo fratello Carlo, che la

  1. Appunti e ricordi, nelle carte napoletane.
  2. Contessa Teresa Teia Leopardi, Note cit., pag. 27, in nota.
  3. Epistolario di Giacomo Leopardi, vol. III, pag. 424.