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464 CAPITOLO XXII. sono poesia, dovrebbe buttare fra la spazzatura della prosa molta parte del poema di Lucrezio, ed anche alcuni pezzi della Commedia di Dante. Alla semplicità della tela del poema risponde la semplicità della lingua e dello stile, così nella parte discorsiva, come nella narrativa, la quale è rallegrata da descrizioni di scene naturali, che, mettendo sotto gli occhi del lettore i luoghi dove accaddero i fatti, ag- giungono vaghezza ed evidenza alla narrazione. Tutta l'opera letteraria del Leopardi ha del mira- coloso; ma niente è più miracoloso dei Paralipomeni, se si pensa al tempo e al modo in cui furono composti. Il 17 giugno 1837 il Ranieri scrisse a Monaldo an- nunziandogli la morte del figliuolo. < Sappia, gli diceva, che l'angelo, il quale Iddio ha chiamato alla sua eterna pace, ha fatto la più dolce, la più santa, la più serena tranquilla morte. >' Si scusava del non dilungarsi in particolari, per la ftpavmiosa desolazione in cui trovavasi, e prometteva che presto sarebbe tornato a scrivergli. Difatti il 2(5 giugno gli mandava una se- conda lettera, i)iona di notizie, non tutte esattissime, intorno alla morte di (iiacomo, alle suo malattie, alla vita che avevano condotto insieme, alla loro andata a Napoli, ai benefizi che il malato aveva ritratti da quel clima. Kra in fine della lettera un cenno dei pochi oggetti che (ìiacomo aveva lasciati morendo, e l'as- sicurazione ch'egli non era vissuto iti (/rande slretteeea. Questa assicurazione voleva dire che, dove non erano bastati gli Hcar.si denari mandatigli da casa, aveva supplito la famiglia Uanieri. Monaldo rispose che, quanto agli oggetti lasciati dal figlio, non voleva ve-

  • KhopI documtntl oo., pag. 287.