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462 CAPITOLO XXII. di uomini enciclopedici, e di rivoluzionari, più o meno temperati, che col loro dottrinarismo, coi loro scritti e con le loro congiure lavoravano al perfezionamento morale dell'uomo e alla liberazione della patria. Di cotesti uomini il Leopardi dovè conoscerne e osser- varne parecchi negli anni che fu in Firenze al gabi- netto Vieusseux; e dalle figure loro rimastegli im- presse nell'animo trasse fuori la figura morale del suo Leccafondi, figura che non cessa di essere rispet- tabile e simpatica, benché una fine ironia ne metta in mostra le debolezze, le utopie, i pregiudizi, e il bonario sorriso del poeta la circonfonda tutta quanta. Il topo diplomatico ha poco o niente di topesco, lo concediamo; ma ne ha quel tanto che basta alla sa- tira ; e alla satira basta il nome e qualche attributo essenziale. Quando alle bestie avete dato la parola ed altre qualità e facoltà umane, quelle bestie non sono più bestie, ma uomini. L'obiezione, che altri insigni scrittori di favole e di poemi bestiali conservarono ai loro personaggi molto più degli attributi animaleschi che non abbia fatto il Leopardi, non ha per me gran valore. L'arte non ha altre leggi fuori di quelle che lo scrittore di genio impone a sé stesso; ma le leggi ch'egli ha fatte per 80 non obbligano gli altri. Ciò che importa ò che lo scrittore riesca ad ottenere gli effetti che si pro- pone; e il Leopardi, a parer mio, li ha ottenuti. Topaia, quale 6 descritta dal poeta, non (- la città dei topi, ma una Napoli sotterranea, con palazzi, col- legi, ospedali, statue, colonne ed archi, tutta roba che non ha niente che furo coi topi. Vero; ma appunto in ci('), e nella sproporzione enorme fra la grandezza della città e la piccolezza degli abitanti, sta la sa- tira, pcrchò appunto da ciò sorgo il contrasto e il ridicolo. Anche V illustrazione che il poeta fa di To- paia con altro descrizioni topografiche, la galleria del Furio, la grotta di Pozzuoli, la città di Trevi, lo ro-