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20 | capitolo i. |
C’era in casa una stanza destinata ad uso di biblioteca, con qualche centinaio di volumi messi là alla rinfusa; della quale e dei quali nessuno, pare, si occupava. Se ne occupò lui, cercandovi libri da leggere, e accrescendola fin da ragazzo con l’acquisto di qualche libro che comprava andando a spasso per la città col pedagogo. A dodici o tredici anni egli non era naturalmente in grado (specie avendo un cotal maestro) da distinguere i libri buoni dai cattivi: perciò così le letture, come le compre, erano fatte a caso. Ma le cognizioni sono sempre cognizioni; e tutto poi, bene o male, si mette a posto in una mente bramosa di sapere. Coll’andare degli anni, e col piacere di possederne, crebbe il desiderio dei libri; nei quali il giovine spendeva volentieri i denari di cui poteva disporre. Ne comprò dagli eredi del Vescovo di Cesena, e da un prete Pintucci recanatese, col quale fece un vitalizio; ne comprò più tardi, con maggiore discernimento, alle fiere di Sinigaglia e di Recanati, a Roma e a Bologna. Era allora sui venti anni, era padrone di sé, stava per prender moglie; e l’ idea di possedere una biblioteca, e di acquistarsi autorità tra i suoi concittadini, oltre che per la nobiltà e per la nascita, anche per il sapere e la dottrina, lo sedusse.
La biblioteca c’era: si trattava di accrescerla; a ciò giunse opportuna la soppressione delle corporazioni religiose. Quanto avevano di buono in fatto di libri i conventi dello Marche, scrive Monaldo, andò, negli anni dal 1798 al 1810, ad arricchire la sua biblioteca.
Gli studi che, seguendo la sua naturale inclinazione, Monaldo coltivò di preferenza negli anni maturi, furono di religione, di politica, di amministrazione e di storia municipale; ma da giovane ebbe anche la velleità di fare le sue prove nella letteratura. Come quasi tutti i giovani, scrisse dei versi, che