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GLI ULTIMI SCRITTI E LA MORTE. 461 umana : secondo me, essi sono una satira di tutto ciò che, patrioticamente, civilmente, filosoficamente, parve al nostro poeta condannabile o degno di riso nella so- cietà del suo tempo. Egli esalta nel poema l'amor patrio, l'eroismo, la virtù, e deride ciò che non gli sembra rispondere a questi alti ideali del suo spirito e del suo cuore; deride le utopie, i vanti sciocchi dei liberali; deride il falso patriotismo, che grida nelle pubbliche concioni, che ostenta le congiure e scappa dinanzi al nemico ; deride e condanna la falsa filosofia delle scuole teologiche signoreggiante al suo tempo. Potrà darsi che in qualche giudizio e apprezzamento particolare si inganni (quanti dei patrioti che contri- buirono al risorgimento d'Italia non condannarono, come lui, le congiure!); ma senza dubbio il sentimento patrio e l'amore del vero che ispirano tutto il poema sono foi-ti e sinceri, e l'intendimento della satira è nobile ed alto. Io non partecipo l'opinione di coloro, che giudi- cano il Leopardi non levarsi nella satira oltre la me- diocrità. Anche nei Paralipomeniy come nella Falino- dìa, quelli che ad alcuni paiono difetti, a me sembrano pregi. Il poeta, dicono, si dimentica talora che le sue bestie son bestie e parla di loro e delle cose loro come fossero uomini. È vero; ma se per effetto di quella quasi dimenticanza, certamente voluta, sotto il nome e i lineamenti della bestia si vede più chiaramente il tipo del personaggio umano che il poeta ha voluto raffigurare, la satira ne riesce, quanto più aperta, tanto più efficace e saporita. Fra i personaggi del poema uno dei più felice- mente riusciti è, secondo me, il conte Leccafondi, mandato ambasciatore dai topi, dopo la loro disfatta, al campo dei granchi. Cotesta figura di diplomatico, impastato di filan- tropia, di politica, d'economia, di patriotismo, ci ri- chiama alla mente con grande efficacia quella turba