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454 CAPITOLO XXII. v'era tempo. Ed io incontanente mandai e rimandai e tornai a rimandare al prossimo convento degli ago- stiniani scalzi. > In questo mezzo il Leopardi, mentre tutti i miei gli erano intorno, la Paolina gli sosteneva il capo e gli asciugava il sudore che veniva giù a goccioli da quell'ampissima fronte, ed io, veggendolo soprappreso da un certo infausto e tenebroso stupore, tentavo di ridestarlo con gli aliti eccitanti or di questa or di quella essenza spiritosa ; aperti più dell' usato gli oc- chi, mi guardò più fiso che mai. Poscia : > Io non ti veggo più, mi disse come sospirando. > E cessò di respirare; e il polso nò il cuore non battevano più: ed entrava in quel momento stesso nella camera frate Felice da Sant'Agostino, agosti- niano scalzo; mentre io, come fuori di me, chiamavo ad alta voce il mio amico e fratello e padre, che più non mi rispondeva, benché ancora pareva che mi guar- dasse. > Qui il Ranieri, detto com'egli non potendo capa- citarsi che il suo amico fosse morto, e sostenendo che viveva ancora, supplicasse il frate ad accompa- gnare religiosamente il passaggio di quella grande anima, prosegue: « Egli (il frate), tocco e ritocco il polso e il cuore, replicava costantemente, che quella grand'anima era già passata. Alla fine, fattosi nella stanza uno spontaneo e solenne silenzio, il pio frate, inginoccliiatosi appresso al morto o al moribondo, fu esempio a noi tutti di fare altrettanto. Poscia in un profondo raccoglimento, orò, orammo tutti un gran pezzo. E levatosi, e fattosi a una tavola; scrissi^ le parole q«ii a|)pre8so; o ne porse il foglio a mo, clic, levatomi anch'io e impresso l'ultimo bacio sulla Tronto di quel cadavere, ero già trascorso da uno spietato dubbio in una spietatissima certezza. > Si ccrtifka al siffnor parroco, qualmente istanta- neamente è passato a m'uilìor vita il conte Giacomo