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18 capitolo i.


e un sanfedista fanatico, s’è detto abbastanza. La condotta da lui tenuta, al tempo della invasione francese negli Stati pontificii, basta, anche per ciò solo che se ne è accennato, a giustificare queste caratteristiche. Ma ecco qualche altro particolare.

Nazione e Libertà sono le due parole nel cui odio implacabile era come dire concentrato il pensiero politico di Monaldo. La seconda specialmente gli faceva perdere il lume della ragione. Un tale gli mandò una volta un innocente sonetto A Maria Santissima, con preghiera di pubblicarlo nel giornale La Voce della Ragione, da lui compilato e diretto. Sospettò (di che non erano capaci i liberali?) che sotto il nome di Maria Santissima si nascondesse chi sa quale diabolica cosa!... forse la Libertà; e, inorridito, gittò senz’altro il sonetto nel cestino.

Tuttavia si credeva e si vantava uomo libero; ma le basi e i confini della vera libertà erano per lui la fede di Gesù Cristo e la fedeltà al sovrano legittimo. Fuori di questi limiti, diceva, non si vive liberi, ma dissoluti. Altra sua massima: La patria non è la nazione, non è nemmeno lo Stato; al quale sarà tuttavia poco male se daremo nome di patria; la patria vera è la terra nella quale siamo nati e viviamo. Di questa soltanto, diceva egli, è permesso ai cittadini occuparsi; padrone e legislatore dello Stato è il sovrano legittimo.

Ma siccome in quei tempi di rivolgimenti politici il sovrano legittimo era di tratto in tratto costretto a cedere il suo posto all’illegittimo, occorrevano anche altre massime con le quali regolare la propria condotta in qualche difficile contingenza. Perciò Monaldo ammoniva: «L’uomo prudente deve tenersi lontano dalle cospirazioni, e sentire la convenienza di sottomettersi al vincitore.»

Queste massimo furono la regola di tutta la sua vita, queste cercò inculcare ai figliuoli, queste propugnò con gli scritti. E della patria, come la intendeva