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404 CAPITOLO XX. quale non aveva potuto finire che il 18 aprile una breve lettera al De Sinner cominciata in gennaio/ E tuttavia doveva schermirsi da quel noioso e va- nitoso del Resini, che pretendeva gli leggesse e cor- reggesse i suoi romanzi e i suoi drammi. Ma la con- valescenza, invece di proseguire verso il meglio, fu ben presto seguita da un peggioramento notevole; tanto che Giacomo il 2 di luglio scriveva al padre : < Sono stato più di 50 giorni combattendo con una brutta e minacciosa malattia intorno agli occhi, uno dei quali era già semichiuso. Mediante una savia e semplice cura, il principio maligno ch'io ho nel san- gue sembra neutralizzato in quella parte. >' Il povero Ranieri non si trovava, diciamolo pure, in un letto di rose. Doveva fare da infermiere al- l' amico suo ; doveva sistemare i suoi affari a Fi- renze, per disporsi nell'entrante autunno al viaggio per Napoli ; doveva stare in corrispondenza coi pa- renti e gli amici di Napoli, per essere informato del modo come là si mettevano lo cose : né da queste gravi cure aveva altra distrazione o sollievo, che qual- che conversazione cogli amici rimasti ancora al ga- binetto Vieusseux, e qualche dolce colloquio con la Targioni. Dico male : il suo maggioro sollievo era allora il conversare col suo caro malato, il godere la intimità di quella mente superiore, il pensare al bene che gli faceva. Chi più si adoperava a Napoli per condurre in porto il disegno del Ranieri, erano la sorella Enri- chetta, il cognato Giuseppe Ferrigni, Carlo Troya o Costantino Margaris, maestro di Paolina. Ad essi ora noto oramai che il vecchio Ranieri non voleva saperne (li ricevere in casa il poeta, sia jìcr <jV inesorabili dis- sidii religiosi, come aveva scritto Paolina al fratello, sia, com'è più probabile, por le ragioni di economia
- EpMotarto, voi. II, pag. 612. ■ Idoro, pag. 616.
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