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i genitori. 11

tutti e due videro il baratro nel quale la famiglia stava per precipitare. II patrimonio rendeva circa seimila scudi all’anno; e i debiti, ammontanti a quarantottomila, assorbivano per interessi poco meno che l’intera rendita; la rovina era dunque irreparabile, ed imminente: per evitarla non ci volevano mezzi termini; e non c’era tempo da perdere.

Donna d’animo forte e duro, fredda, calcolatrice, educata alla scuola dei gesuiti, prese subito una risoluzione eroica: persuase, o piuttosto impose a Monaldo, reo convinto d’ inettitudine amministrativa, di lasciare interamente a lei il governo della famiglia; e Monaldo si rassegnò; e fece egli stesso domanda che l’amministrazione de’ suoi beni venisse affidata ad un economo. Fu nominato l’economo, e fatto nel 1803 un concordato coi creditori. L’economo, s’intende, c’era di nome; chi faceva tutto era la contessa Adelaide; la quale (dice la contessa Teresa Teia Leopardi, autorità non sospetta) trattò il marito da pupillo bene sorvegliato e privo di denaro.1

Il povero conte, il quale forse solamente allora aveva misurato la gravità del male da lui fatto, dove trarre un grande respiro quando ne vide scongiurate le terribili conseguenze; ma dove anche rimanere molto umiliato e scontento. Egli aveva una grande opinione di se; si credeva una testa quadra, e non sapeva, dice egli stesso, adattarsi alle seconde parti. « Tutto quello che mi ha avvicinato, scrive nella Autobiografia, ha fatto sempre a mio modo, e quello che non si e fatto a modo mio, mi e sembrato mal fatto. » Onde ci dove volere una gran forza d’animo sua e d’altri per piegarlo a tanta sottomissione. Più d’una volta si lamentò, fin coi figliuoli, della tirannia della moglie; ma non ebbe, non che la forza, nemmeno la velleità, di ribellarsi.

  1. Contessa Teresa Teia Leopardi, Note biografiche sopra Leopardi e la sua famiglia; Milano, Dumolard, 1862, pag. 9.