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L' ULTIMA DIMORA A RECANATI. 337 quando questi seppe ciò, scrisse all'Adelaide : < Prego voi tutti, e il nostro Ferdinando in particolare, a non pensarci più.... che insistessi per ottenerla, anzi per farla rimettere in piedi, essendo poi totalmente igno- rante della materia, sarebbe assurdo e ridicolo. >' I Tommasini e i Maestri erano disperati, e imma- ginando le tristi condizioni dell'infelice poeta, insi- stevano perch' egli lasciasse Recanati e andasse al- meno per un po' di tempo a Parma presso di loro. Egli ringraziava, promettendo che in caso di necessità avrebbe accolto l'invito.'
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Il Leopardi era divenuto oramai un oggetto di profonda pietà per tutti quelli che lo conoscevano e ne ammiravano l'ingegno. Soli a non partecipare quel sentimento, perchè non comprendevano la grandezza della sua infelicità, erano i suoi. Monaldo certamente s' ingannava scrivendo al Bunsen notizie sodisfacenti del tìglio ; ma anche que- sti nel correggerle andava un poco di là dal vero. Chi sotìre, tanto più facilmente è portato ad esagerare i suoi mali, quanto più crede che non siano compresi, e quanto più dispera che cessino. Che lo scrivere fosse al poeta, in quelle condizioni, una fatica grave, non si può mettere in dubbio ; ma eh' egli non potesse assolutamente né pensare né scrivere, non è vero. Proprio allora, dal '26 agosto al 12 settembre (la lettera al Bunsen è del 5 settembre) egli compose una delle poesie più lunghe e più perfette. Le Ricor- danze; dal 17 al 20 settembre, La quiete dopo la tem- pesta; il 29 settembre, Il sabato del villaggio. Piuttosto
- Epistolario, voi. II, pag. 370.
- Idem, pag. 3T8.
Chiaki.ni, Leop. 22