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322 CAPITOLO XVI. non "erano le sue : fortunatamente però non sapeva quale giudizio facessero degli scritti suoi alcuni di quelli amici, che più gli si mostravano, ed allora gli erano veramente affezionati. Il Colletta, ad esempio, che più di tutti gli altri si adoperò in favor suo fino dal 1827, scriveva nella intimità dell'amicizia à Gino Capponi: < Leggerò i dialoghi del Leopardi, ma sem- brami impossibile che mi piacciano in istampa, se mi dispiacquero in scrittura; >' cioè quando il Giordani li portò a Firenze manoscritti. Il giudizio del Tom- maseo parte lo sappiamo, parte è facile indovinarlo. Fortunatamente il Leopardi ignorava ciò : e non potè sospettarne nemmeno più tardi, perchè quando pre- sentò le sue Operette morali al concorso per il premio della Crusca, il Vieusseux e gli altri lo confortarono a sperare, e il Colletta gli scrisse: < Se gli Accade- mici hanno in pregio il puro, il gentile e '1 bisogno d'Italia di bello scrivere, le opere vostre saran prefe- rite, perchè in qualità di stile voi non avete superiore compagno. >* Tuttavia il Leopardi non potè non avere intuito che gli amici di P'irenze non apprezzavano degnamente quella perfezione dello scrivere alla quale egli mirava con tante fatiche: e ciò gli era a volte cagione di sco- raggiamento e di dispetto. Il 25 febbraio scriveva da Pisa al l'apadopoli: < Studiare e lavorare sono cose che ho dimenticate, e dalle quali divengo alieno ogni giorno più. Con questa razza di giudizio e di critica jh che si trova oggi in Italia, e chi si afi'atica a ^ pensare e a scrivere. Scrivere poi senza affaticarsi l punto e senza pensare, va benissimo, e lo lodo molto; . ma per me non fa, e non ci riesco. >" K poco appresso scriveva al Giordani che, veduta la qualità dei giudiei |; > leopardi $ Collutta, Episodio di otoria letteraria niirnilo <1n AMKRiro I)K Ornkauo Fkiikioni; Napoli, Tipografia dulia Itogia UnivorNilh, 1HH8, pnf^. 0. * Idom, pag. 10.

  • epistolario, voi. II, pag. 278.