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314 CAPITOLO XVI. pazziate quest'anno: mangiatevele senza farle patire, e non sieno tante. Io non mangerò né uova toste, né altro; che non posso mangiar nulla, benché stia bene, e passo le 48 ore con una zuppa: me ne dispiace al- l' anima, ma pazienza. Se provaste le schiacciate che si usano qui per pasqua, son certo che vi piacereb- bero più che la crescia: io ne manderei una per la posta a Paolina (perchè è roba che ci entra il zuc- chero), ma bisogna mangiarle calde, e io non posso mandare per la posta anche il forno. >' Povero poeta! Scrivendo queste parole, probabilmente il pensiero gli tornava in mezzo alla famiglia, dalla quale gli dispia- ceva essere lontano in quelle solennità, nelle quali é così dolce alle anime buone ed affettuose trovarsi riu- nite intorno alla medesima mensa presso il focolare domestico. Pisa piacque subito al Leopardi, e ci si trovò su- bito bene, perchè gli rammentava Recanati, la sua aborrita ma pur cara Recanati. Aveva a Pisa il meglio di Recanati, senza ciò che a Recanati gli dispiaceva, con più tutto quello che a Recanati desiderava inu- tilmente. A Pisa si trovò subito nel suo centro, e come naturalizzato. < Io sogno sempre di voi altri, scriveva il 25 febbraio alla Paolina, dormendo e vegliando: ho qui una certa strada deliziosa, che io chiamo Via delle rimnnhrume: lA, vo a passeggiare quando voglio so- gnare a ocelli aperti. Vi assicuro che in materia d'im- maginazioni, mi paro di esser tornato al mio buon tempo antico. >' Questa buoiui disposizione non era soltanto cfVcllo dollu nuova dimora: un mutantento era avvenuto nel- Paninio del poeta, del quale egli prose nota il 19 gen- naio nello Zibaldone con queste parole: < La pri-
- KpUtolarh, voi. II, pag. 287. * Idotn, png. 280.