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A BOLOGNA. 257 pratico che quelli assegni mensili gli tornavano co- modi, e che nelle idee di quella città non v'era nulla di vile annesso alla funzione di precettore.* Pochi giorni dopo, il 10 ottobre, scriveva al fratello, descrivendogli la sua vita in Bologna : < Io qui sono trattato da' miei ospiti molto bene e amorosamente, ed anche con gran ri{i:uardo, perchè mi stimano una gran cosa. Mi alzo alle 7, scendo subito al caffè a far colezione. Poi stu- dio. Alle 12 vado da Papadopoli, alle 2 dal Greco. Torno a casa alle 3, vado a pranzo alle 5, per lo più in casa, e se ho inviti mi seccano. La sera la passo come Dio vuole. Alle 11 vado a letto. Eccoti la mia vita. Quelle lezioni, che mi sventrano la giornata, mi annoiano orribilmente. Fuor di questo non avrei di che lagnarmi. Questi letterati che da principio, come mi è stato detto e ridetto, mi guardavano con invidia e con sospetto grande, perchè credevano di dovermi trovar superbo e disposto a soverchiarli, sono poi stati contentissimi della mia affabilità, e di vedere ch'io lascio luogo a tutti; dicono finora un gran bene di me, vengono a trovarmi, e sento che stimano un acquisto per Bologna la mia presenza. >* A Milano il Leopardi aveva dato allo Stella, da pubblicare nel Nuovo Bicogliiore, il frammento di tra- duzione da Senofonte, Della impresa di Giro ; gli aveva lasciato, da stamparsi in un volumetto a parte, il Mar- tirio dei Santi Padri; aveva messo insieme gli ele- menti e scritto i due manifesti latino e italiano per la edizione delle opere di Cicerone; aveva stabilito di fare una interpretazione delle rime del Petrarca, e di mettere a disposizione dell'editore tutte quelle opere, di qualunque genere fossero, che gli venisse fatto di comporre. Da Bologna gli scrisse il 21 ottobre domandando- gli se pensava di stampare il Martirio, e proponen- » Epistolario, voi. II, pag. 31, 82. « Idem, pag. 83, Chiarini, Leop. 17