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A BOLOGNA. 251 deranno perpetuamente altri mondi e altre cose, cioè altre forme della materia. La breve scrittura finisce con una singolare ipo- tesi sulla fine del mondo, la quale è piuttosto fan- tastica che scientifica. Il 6 maggio 1825 il Leopardi, scrivendo al Gior- dani, gli diceva: < Io studio il dì e la notte fino a tanto che la salute me lo comporta. Quando ella non lo sostiene, io passeggio per la camera qualche mese ; e poi torno agli studi : e così vivo. Quanto al genere degli studi ch'io fo, come io sono mutato da quel che io fui, così gli studi sono mutati. Ogni cosa che tenga di afi"ettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e di fanciullaggine ridicola. Non cerco al- tro più che il vero, che ho già tanto odiato e dete- stato. Mi compiaccio di sempre meglio scoprire e toccar con mano la miseria degli uomini e delle cose, e d'inorridire freddamente, speculando questo arcano infelice e terribile della vita dell'universo. >* In que- ste parole, s'io non m'inganno, si sente l'uomo che ha levato appena, o, forse, non ha levato ancora la mano dalle Operette morali. Forse egli stava allora pen- saitdo, o scrivendo, il Frammento apocrifo di Stratone. Anche i pensieri filosofici scritti in quell'anno 1825 nello Zibaldone sono dello stesso genere delle Ope- rette morali. »
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Quando nel luglio venne il momento di partire per Bologna, il Leopardi era malato d'occhi ; ma an- che questa volta la partenza fu come una medicina al suo male. Il gran sole e il gran caldo patiti pel viaggio non lo fecero peggiorare; e appena arrivato a Bologna (la sera del 18 luglio), quasi per incanto
- Epistolario, voi. I, pag. 547.