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248 Capitolo xiii.

non posso fissare la mente in una menoma applicazione neppure per un istante, senza che lo stomaco vada sossopra immediatamente, come mi accade appunto adesso, per la sola applicazione di scrivere questa lettera. > Toccato il doloroso argomento della salute, sdrucciola nelle consuete lamentazioni sui danni prodotti ad essa dalla forzata residenza in Recanati. < Restando qui, scrive, io non posso altro che passare da cronicismo a cronicismo, come ho fatto per tutta la mia vita finora. Fuor di questo, io vivrei contentissimo, come Ella mi esorta, a Recanati, e anche nell'isola di Pasqua in mezzo all'Oceano Pacifico, poiché Ella sa bene che l'ambizione non è mai stato il mio vizio. > 1 Certo il Leopardi non era ambizioso, cioè una volgare ambizione non entrava nell'animo suo; ma egli aveva pure un gran desiderio di sapere che cosa i letterati pensavano delle sue Canzoni (ne chiedeva anche allo zio);2 era smanioso di vedere che impressione avrebbero fatto le sue Operette morali; e finché stava rinchiuso in Recanati, questi suoi desiderii sentiva che non avrebbero potuto essere sodisfatti : voleva insomma vivere in un centro letterario; magari ci si sarebbe trovato male, e ne avrebbe poi detto malissimo; ma voleva viverci, perché aveva la coscienza che le suo prose e le sue poesie erano nella letteratura di quel tempo qualche cosa di nuovo e di forte, quale nessuno degli scrittori più famosi, compresi il Monti e il Giordani, aveva fatto o era capace di fare. Da qui le sue smanie d'uscire da Recanati. In quei giorni gli ora spuntato un barlume di speranza, ma la paura di una nuova disillusione lo aveva trattenuto dal fermarvi la monte; tanto che il 6 maggio scrìveva al Giordani : < Io sono qui senza spc-

  1. Epistolario, voi. I, pag. 637, 638.
  2. Idem, pag. 688.