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236 CAPITOLO XII. buisce da alcuni alla materia, mentre dipende uni- camente dalla forma. Se a traverso quella materia fosse corso qualche fresco e puro zampillo di lin- guaggio parlato e ne fosse sparita qualche lieve af- fettazioncejla che anche dopo le sapienti correzioni posteriori vi è rimasta; se l'atteggiamento del pensiero e della espressione e il ritmo del periodo non fossero sempre modellati sopra i perfetti esemplari degli an- tichi ; se l'autore si fosse talora lasciato andare alla scioltezza e ad una certa sprezzatura del parlar fa- miliare, io credo che le Operette morali sarebbero la prosa italiana moderna per eccellenza. Proponendosi di scrivere con una lingua e uno stile che fosse classico e antico e paresse moderno^ il Leopardi si propose un impossibile. Lo riconobbe in certo modo egli stesso con queste parole dello Zibal- done: < Chi, scrivendo oggi, cerca o consegue la per- fezione dello stile, e procede secondo le sottilissime avvertenze e considerazioni dell' arte antica intorno a questa gran parte, e secondo gli esempi perfettis- simi degli antichi, si può dir con tutta verità, che scriva solamente e propriamente ai morti, non meno di chi scrive in latino, o di chi usasse il greco antico. > ' Forse il Leopardi volle dire che una perfezione di scrivere com' egli la ideava non sarebbe stata intesa e degnamente apprezzata dagli uomini del suo tempo; ma non ò per ciò men vero ch'egli con quelle parole accennava, forse non volendo, a quello ch'ò l'unico difetto della sua prosa. In quei cinque o sei anni dopo il 1817 che il Leo- pardi dedicò agli studi di lingua e di stile, si era ve- nuta da una parto lentamente compiendo la sua con- versione filosofica, maturando lentamente dall'altra la sua concezione pessimistica della vita e del mondo. I lugubri pensieri che durante quel periodo di inte-

  • PétukH, voi. VII, pag. 170.