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LE < OPERETTE MORALI. > ^o.'j meritare alla creazione di quella prosa ; e vi si cimentò seguendo i criteri da lui esposti nei Pensieri dello Zibaldone accennati da me in fine del capitolo X. In un certo momento parve aver sentito che qual- che cosa di più bisognava alla piena riuscita del suo intento, studiare cioè la lingua, oltre che ne- gli scrittori, sulla bocca del popolo. Fino dal 1817, scrivendo al Giordani, gli aveva espresso il pensiero che, per divenire buon prosatore, oltre il molto eser- cizio e la molta lettura, fosse necessarissimo qualche anno di dimora in paese dove si parli la buona lin- ffìia, qualche anno di dimora in Firenze.^ Al che il Giordani rispondeva, dissuadendolo: < Non ci è paese in tutta Italia dove si scriva peggio che in Toscana e in Firenze; ed oltre ciò non è paese che parli meno italiano di Firenze. >* E il Leopardi, che capiva di non essere stato capito, ribatteva giudiziosamente, . spiegando meglio il suo pensiero : < Io faceva conto di imparare dagli idioti, o piuttosto di rendermi fa- migliare col mezzo loro quella infinità di modi volgari che spessissimo stanno tanto bene nelle scritture e quella proprietà ed efficacia che la plebe per natura sua conserva tanto mirabilmente nelle parole. > < Ma poiché Ella non crede, soggiungeva, che gli idioti fio- rentini mi possano insegnar niente di buono, mi acquieto alla sua sentenza. >* Del resto se il Leopardi, prima di scrivere le Ope- rette morali, non andò per qualche anno a Firenze, ciò non avvenne perchè egli si fosse veramente acquie- tato alla sentenza del Giordani, ma perchè non gli fu possibile. E fu gran danno: s'egli avesse potuto sodisfare quel suo desiderio, forse non mancherebbe alle sue mirabili prose quel po' di vivo e di caldo che vi si desidera. Il gelido delle Operette morali si attri-
- Epistolario, voL I, pag. 63.
- Idem, voi. Ili, pag. 96. » Idem, voi. I, pag. 77.