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228 CAPITOLO XII. Questi pensieri sulle illusioni sono una parte so- stanziale della filosofia del Leopardi, sono, direi quasi, la parte complementare e correttiva di essa, ed an- nunziano in certo modo la magnanima e consolante dottrina di un affratellamento universale degli uomini, con la quale egli la suggellò nella Ginestra. Nei cinque mesi passati in Roma il Leopardi scrisse appena ventisette pagine dello Zibaldone; nei rima- nenti mesi del 1823 ne scrisse 877. Anche ciò dimo- stra quanto la sua vita in Roma fosse diversa da quella di Recanati. Qui, mancando d'ogni distrazione, pas- sava tutto il tempo a studiare e meditare. Con la lettera al Jacopssen, di cui ho riferito due passi, scriveva: < Je vis ici comme dans un ermitage;mes livres et mes promenades solitaires occupent tout mon temps. Ma vie est plus uniforme que le mouvement des astres, plus fade et plus insipide que les parole de notre Opera. > E al Giordani : < Non ti nego che questa mia sepoltura non mi riesca alquanto più mo- lesta di prima, specialmente perch'io non ci ho quella libertà che ho sperimentata fuori di qui per alcuni mesi. >' Ciò lo induceva a fare sollecitazioni per T im- piego, del quale voleva persuadere a so stesso di non avere ancora perduto ogni speranza. Scrisse nell'ago- sto al cardinale Consalvi, rammentando le promesse fatte al Niebuhr, e raccomandandosi con una umiltà di espressioni che a leggerlo fa male ; e scrisse quasi contemporaneamente al iJunsen pregandolo di interessarsi per lui.* Più tardi fece nuove pratiche presso il IJunsen stesso e il cardinale Guerrieri Gon- zaga per ottenere un posto di cancelliere del Censo, indicando al liunsen quello di Urbino rimasto allora vacante. Tutto invano.'

  • KpUtolario, voi. I, pftg. 466.
  • Idom, pag. 408, 469.
  • Idem, png. 486, 604 o 606.