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GIACOMO LEOPARDI A ROMA. 217 avanti, e sulla orazione funebre recitata dall'abate Missirini. Il Leopardi ne disse molto male, e il suo parere fu seguito e confermato dagli altri, fuorché dal Mai, che non ci fece attenzione. Dopo il pranzo, prima di prendere il caffè, si seppe che il prete sco- nosciuto era il Missirini. Tutta Roma letteraria fu piena di questa bagattella. Il Missirini se n'ebbe un po' a male; il Mai però accomodò la cosa in modo che i due divennero amici, e il buon Missirini lodò sempre, poi altamente, il Leopardi. Alcuni di quei dotti stranieri che il Leopardi aveva conosciuti presso il Ministro d'Olanda, lo an- davano poi a trovare in casa, per conversare con lui e aver notizia dei suoi lavori; di che naturalmente egli si compiaceva.' Come si vede, non mancavano a Giacomo in Roma distrazioni piacevoli, ed anche svaghi. Il 28 gennaio scrisse alla Paolina : < In questi ultimi giorni ho fatto, e seguo a fare, una vita molto divagata. > E poiché la Paolina lagnavasi della vita terribilmente uggiosa di Recanati, soggiunse: < Credi tu ch'io mi diverta più di te ? no sicurissimamente ; > e le fece un bel ragio- namento per dimostrarle che tanto si annoia chi non ha svaghi quanto chi ne ha. Lo spettacolo del Corso di carnevale gli era sembrato veramente hello e degno d'esser veduto; le prime due opere in musica da lui sentite all'Argentina e al Valle non gli erano pia- ciute, e la lunghezza degli spettacoli romani lo aveva annoiato. Ciò che gli aveva fatto maggiore impres- sione era stato il ballo veduto colla lorgnette. < Una donna, scrisse a ('arlo, nò col canto né con altro qualunque mezzo può tanto innamorare un uomo quanto col ballo; il quale pare che comunichi alle sue forme un non so che di divino, ed al suo corpo una forza, una facoltà più che umana.... Credimi, che
- Vedi Epistolario, voi. I, pag. 373.