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214 CAPITOLO XI. ria di Roma, non sapesse quasi vedere di Roma che la grandezza materiale, e gì' incomodi e i fastidi che ne derivavano ai poveri cittadini come lui. Alla Pao- lina, che gli domandava se Roma gli era piaciuta, rispondeva : < La grandezza di Roma non serve ad altro che a moltiplicare le distanze e il numero dei gradini che bisogna salire per trovare chiunque vo- gliate. > * Questo singolare fenomeno si può spiegare con due ragioni. Entrando in Roma, il poeta portava con sé tale un concetto della grandezza di lei, che la vista materiale non poteva aggiungervi niente ; poteva forse diminuirlo. Ma la ragione più vera è forse quest'altra, eh' egli stesso scriveva a Carlo due giorni dopo il suo arrivo : < Delle gran cose eh' io vedo non provo il menomo piacere, perchè conosco che sono maravi- gliose, ma non lo sento, e t'accerto che la moltitu- dine e la grandezza loro m' è venuta a noia dopo il primo giorno.)* Egli non era più l'uomo di quat- tro anni innanzi: quei quattro anni dal 1818 al 1822 avevano distrutto inesorabilmente la sua giovinezza, e con la giovinezza le passioni e l'entusiasmo. Tale lo stato d'animo del poeta durante il temjio ch'ei dimorò in Roma; ma di salute stette abbastanza bene. L'inverno di quell'anno fu più rigido del con- sueto, ed egli ebbe il fastidio dei geloni, che lo co- strinsero a stare qualche giorno in letto: tuttavia ciò dovè parergli molto tollerabile in confronto delle no- tizie che riceveva dai suoi del freddo e dei geloni di Kccanati. I geloni passarono; ed egli potè andare in giro, potè andare per lo biblioteche, andare a far visite, andare a pranzi e conversazioni, andare al tea- tro, assistere agli spettacoli del carnevale. Sfortunatamente quando egli arrivò a Roma, ora morto appena un mese avanti Antonio Canova, « Ept$tolarto, voi. I, png. 806. » Idoixi, png. 860. h\ì