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GIACOMO LEOPARDI A ROMA. 207 qualche istante ma non potevano guarire la sua in- sanabile malattia. Era perciò fatale ch'egli, passato lo stordimento del primo arrivo, passati i primi istanti di distrazione e di sollievo, ripiombasse nell'antica malinconia. Le nuove cose e persone ch'ei vide a Roma ben presto gli parvero brutte e cattive, più brutte e cattive delle cose e persone di Recanati ; perchè egli le vedeva, come vedeva tutto, cogli occhi dei suoi do- lori, ai quali il presente, ovunque e comunque fosse, era tristo e noioso. A Recanati odiava Recanati e so- spirava Roma, cioè un altro luogo qualunque che non fosse Recanati; a Roma trovò quasi preferibile Re- canati. Così dicono le sue lettere; ma naturalmente bisogna intenderle con discrezione. Forse una specie di pudore lo tratteneva dal mostrarsi sodisfatto d'esser fuori di Recanati e lontano dai suoi, quasi la sua scontentezza non avesse altre cagioni.

» * Roma! Quando egli giovanissimo a Recanati, nella sua camera, o nella stanza di studio della biblio- teca, vedeva sorgere dinanzi alla mente il fantasma della città fatale, quante immagini di grandezza e di gloria, quante sublimi aspirazioni e illusioni si affol- lavano intorno ad esso! Meschino e vile era il con- cetto ch'egli aveva degli uomini del suo tempo ; ma Roma era Roma; le stupende memorie del passato non era possibile che non esercitassero una benefica influenza sugli uomini di cuore e d'ingegno che pur ci dovevano essere. Roma aveva pure il Mai e il Ca- nova: ed oltre l'abate Cancellieri, ed altri che ave- vano lodato i suoi lavori di ragazzo, chi sa quanti bravi e dotti uomini ci sarebbero stati, capaci di ap- prezzare l'ingegno e le opere sue! Partendo, portò con sé le ultime sei Canzoni, delle quali doveva essere molto contento, ed altri lavori inediti o non finiti.