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206 CAPITOLO XI. < Non so quello che mi scrivessi da Spoleto ; perchè dovete sapere che io scrissi in tavola fra una cana- glia di Fabrianesi, lesini ec. ; i quali si erano infor- mati dal cameriere dell'esser mio, e già conoscevano il mio nome e qualità di poeta ec. ec. E un birbante di prete furbissimo, che era con loro, si propose di dar la burla anche a me, come la dava a tutti gli altri ; ma credetemi che alla prima mia risposta cam- biò tuono tutto d'un salto, e la sua compagnia di- venne bonissima e gentilissima come tante pecore. > ' Arrivarono a Roma, lo zio Carlo co' suoi compa- pagni il venerdì 22 novembre, Giacomo con lo zio Girolamo il giorno dopo. Appena arrivato, Giacomo scrisse alla madre una lettera breve, ma affettuosa, con la quale le diceva, tra le altre cose, che gV incomodi del viaggio^ in camino di nuocergli, gli avevano note- volmente giovato. La lettera terminava : < Le bacio le mani con tutto il cuore, e pieno di vivissimo affetto e desiderio di Lei, mi dichiaro suo tenerissimo figlio. >' Nella stessa lettera aveva aggiunto alcune righe lo zio Carlo, per assicurare la sorella che Giacomo stava bene ed aveva aspetto assai migliore di pochi giorni addietro. Leggendo che gl'incomodi del viaggio avevano gio- vato alla salute di (Jiacomo, verrebbe voglia di sor- rìdere, 66 rargomento doloroso lo consentisse; ma l'attestazione dello zio Carlo, che il nipote appena fuori di llecanati era già migliorato d'aspetto, fa pen- sare malinconicamente quanto sarebbe stato meglio ch'egli fosse uscito dal suo paese sei anni prima. Forse allora poteva giovare: oramai era tardi. Ora la vista da lui desiderata di nuovi paesi, la conoscrn/;i di nuovo persone, la compagnia e la conversazione di uomini illustri, i)otovano distrarlo e sollevarlo per
- Epistolario, voi. I, pag. 801.
- Idem, p«g. 869, 860.