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mandargli a Roma il nipote, affinchè fosse costretto a interrompere per qualche tempo gli studi e divagarsi. Quando poi sei anni più tardi, Giacomo, risoluto di uscire ad ogni costo da llecanati, e disperato di ogni altro mezzo, tentò la fuga, lo zio naturalmente lo disapprovò; e lo ammonì che doveva obbedire al padre, e restar- sene contento nel suo paese natale. Ma trovandosi poi l'Antici nell'autunno del 1822 a Recanati col fra- tello Don Girolamo ed altri di sua famiglia, e ve- dendo il nipote sempre più abbattuto di corpo e di spirito, fece un ultimo tentativo per indurre la sorella e il cognato a mandarlo a Roma. E questa volta riuscì. Forse la prima idea, in famiglia, fu che Giacomo andasse a stare da sé in una camera d'affitto (cosi almeno lascia supporre la lettera da lui scritta al cugino Melchiorri); ma lo zio chiese ed ottenne fa- cilmente di portarlo a casa sua. I viaggiatori partirono il 17 novembre in due car- rozze; nell'una Giacomo con lo zio Don Girolamo, nell'altra lo zio Carlo col resto de' suoi. Giacomo e Don Girolamo, ch'era tormentato dall'emicrania, si fermarono un giorno a Spoleto ; gli altri proseguirono direttamente per Roma. Da Spoleto Giacomo scrisse una letterina al padre per ragguagliarlo del viaggio ; scrisse dalla locanda, dopo cena, fra molte persone che lo assordavano. Mandava i saluti alla cara mamma e ai fratelli, e < Riserbo, diceva, a un'altra lettera tutte le espressioni della mia vera ed eterna gratitudine verso di lei, e del mio fermo proposito di far sem- pre quello che io creda doverle essere di maggior piacere. >' Alla locanda gli accadde un incidente, che rac- contò così qualche giorno dopo in una lettera a Carlo:

  • Epistolario, voi. I, pag. 359.