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198 CAPITOLO X. umano, e sua corruttela avanti il diluvio. > Istintiva- mente conscio che spesso il più bello di una poesia sta, non in ciò eh' essa dice, ma in ciò che lascia in- dovinare, il poeta, invece di fermarsi a descrivere i vizi del genere umano che furono cagione del dilu- vio, dalla stupenda descrizione di Caino trapassa sen- z'altro a Noè ; e in soli quattordici versi ci mette sotto gli occhi la poetica scena della salvazione da lui ope- rata del genere nostro, il quale, niente avendo impa- parato dal castigo divino, Biede alla terra, e il crudo affetto e gli empi Studi rimiova e le seguaci ambasce. Anche qui la traccia si allunga, parlando della torre di Babele, di Nembrod, della confusione delle lingue, della diffusione del genere umano per la terra. < Il nostro globo, dice la traccia, s'empie tutto di sventure e di delitti. Noi le insegniamo a terre vergini, le quali per la prima volta sentono l'influenza dell'uomo, e con ciò solo divengono consapevoli del male e del dolore. > < In proposito dell'arca di Noè, nota la trac- cia, si potrà fare una digressione sulla nautica, sul commercio, sull'usurpato regno del mare, sui morbi, sulle calamità derivate da queste cagioni. > So non che, nello scrivere l'inno, il poeta, sentendo il bisogno di affrettarsi, come aveva trascurato Eva e la bel- lezza dello donne, tralascia Nembrod e tutto il resto, contentandosi di questo breve accenno all'usurpato regno del maro e alle suo conseguenze. Agi' inaccessi Regni del mar vendicatore illude Profana destra, e la sciagura e il pianto A novi liti e novo stelle insogna. Cosi l'autore è arrivato al punto che j)iù lo inte- ressa, al punto nel quale sta la dimostrazione (1(1 li