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XII AI MIEI FIGLIUOLI.

pare il ritratto più vero e parlante dell’autore dei Canti e delle Operette morali. Fino dalla prima volta ch’io la vidi, mi fece così forte impressione, che, allora e poi sempre, leggendo gli scritti di Giacomo, me la vedevo dinanzi.

Qualche anno dopo le Opere, lessi l’Epistolario: e quella lettura, pur mettendo qualche cosa più di umano nel concetto ch’io m’era fatto dello scrittore, non lo diminuì nè lo cambiò. E nemmeno lo cambiò sostanzialmente, anzi lo accrebbe e compì, la lettura, che venni facendo più tardi, degli altri non pochi scritti di lui e dei moltissimi intorno a lui.



Sono passati più di cinquanta anni dal tempo che cominciai ad ammirare ed amare il Leopardi, e quell’ammirazione e quell’amore durano ancora. Allorchè, tornato, in questo scorcio della vita, con più fervore e con maggiore agio ai miei studi, volli dedicare quel po’ di operosità, di cui mi sentivo ancora capace, ad un lavoro intorno all’autore mio prediletto, mi parve che la sola cosa da tentare fosse una storia della sua vita, cioè una narrazione semplice e compiuta dei fatti di essa. Oramai il campo degli studi leopardiani era stato dissodato, frugato, lavorato, in ogni parte,