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AI MIEI FIGLIUOLI. XI

d’un tratto, per virtù della sua mente, spezzati, nel limitare della giovinezza, i lacci che dovevano tenerlo avvinto per sempre; e datosi alla ricerca del vero, si era addimostrato, con grande spavento de’ suoi e meraviglia dell’universale, prosecutore e banditore ardito, appassionato, di tutte le idee che dovevano rinnovare il vecchio mondo e condurre gli uomini alla conquista di quei beni che si compendiano nella parola civiltà. Tristo compenso alle sue virtù, quell’uomo, quell’eroe, quel martire del pensiero, era dalle stesse condizioni sue fisiche e familiari condannato ad essere il più grande infelice del secolo; condannato a sentire le strette della povertà nell’agiatezza de’ suoi, a vedersi contesa e lesinata quella gloria, alla quale sentiva d’avere diritto, a vedersi ributtato e schernito dall’amore, a cui aspirava con tutte le forze dell’anima. Condotto dalla sua smisurata infelicità a disperare di tutto, a maledire la vita e considerare come il supremo dei beni la morte, serbò tuttavia fino agli ultimi giorni vivo e fervente in fondo al cuore il culto della virtù.

L’incisione posta in fronte al primo volume delle Opere del Leopardi rappresenta molto fedelmente, per me, l’immagine dell’uomo e dello scrittore. Quella nobile testa, che riposa serena sul guanciale di morte, mi