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140 capitolo vii.

dell’Alfieri ma già anche prima come apparisce da una mia lettera al Giordani.» Il manoscritto seguita così fino in fondo, senza che apparisca un nesso fra un appunto e l’altro. Tuttavia mi sta in mente che alcuni almeno di questi appunti e ricordi dovessero esser materia per un lavoro che il Leopardi aveva in animo di fare; forse una specie di romanzo autobiografico sul genere del Werther e dell’Ortis.

Parecchi appunti, come quelli del saggio che ho riferito, hanno carattere autobiografico; e quasi tutti sono del genere dei pensieri dello Zibaldone. Viene quindi naturale la supposizione che l’autore non li mettesse lì appunto per la ragione da me indicata, che cioè nella sua mente fossero destinati ad un determinato lavoro. Che il lavoro potesse essere quello che ho accennato si può desumere da alcuni degli appunti stessi. In uno si legge: «Eugenio romanzo (Werther) frammenti.» Questo medesimo titolo trovasi, con le identiche parole, in una lista di scritti in verso ed in prosa proposti dall’autore a sè stesso. In un altro appunto vien fuori un altro nome, Benedetto, forse immaginario; e accanto al nome queste parole: «Storia della sua morte.» Innanzi ad un ricordo riguardante Teresa, la figlia del cocchiere, è questa parentesi «(nel proemio);» e in altri luoghi e più volte quest’altra parentesi «(nel fine)», per indicare che quei tali appunti e ricordi dovevano servirò a luoghi, credo, del romanzo. A proposito della morte di Benedetto ci sono vari appunti. Uno dice: «Ecco dunque il fine di tutte le mie speranze de’ miei voti e degl’infiniti miei desiderii (dice Werther moribondo e può servire pel fine);» un altro: «desiderio di morire in un patibolo stesso in guerra.» Più caratteristici sono questi altri ricordi. «(Nel fine) si discorrerà, per duo momenti in questa piccola città della mia morte, o poi ce; aprì la finestra ec., ora l’alba ec. ec. Non aveva pianto nella sua malattia se