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lo «zibaldone» e gli «appunti ec.» | 135 |
esattamente vero, che, tutto il reale essendo un nulla, non v’è altro di reale, nò altro di sostanza al mondo che le illusioni.[1] Ragionando su questo sentimento del nulla, egli dice che vi sono tre maniere di vedere le cose: Vuna, e la più beata, di quelli per i quali esse hanno più spirito che corpo; l’altra, la maniera naturale e più durevolmente felice, di quelli che considerano le cose quali appariscono e sono stimate comunemente e in natura; la terza, e la sola funesta e miserabile, e tuttavia la sola vera, di quelli per cui le cose non hanno nò spirito nè corpo, ma son tutte vane e sema sostanza.
Questa è, soggiungo, la maniera «dei filosofi e degli uomini per lo più di sentimento, che dopo l’esperienza e la lugubre cognizione delle cose, dalla prima maniera passano di salto a quest’ultima senza toccare la seconda, e trovano e sentono da per tutto il nulla e il vuoto, e la vanità delle cure umane e dei desideri! e delle speranze e di tutte le illusioni inerenti alla vita, per modo che senza esse non è vita.»[2]
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La trasformazione della coscienza di un uomo come il Leopardi, ha, specialmente nelle origini, un grande interesse per lo studioso della vita di lui; e perciò mi sono trattenuto un po’ lungamente sui pensieri dello Zibaldone dell’anno 1819. Dopo quell’anno i pensieri filosofici (cioè pessimistici, perchè oramai la sua filosofia è il pessimismo) divengono più rari; e spesseggiano invece, per quasi tutto il 1820, i pensieri di letteratura, d’estetica, di critica letteraria, di morale, di storia, di politica. Uno degli autori più