Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/163


LO «ZIBALDONE» E GLI «APPUNTI EC.» 129

mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai ad abbandonar la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose (in questi pensieri ho scritto in un anno il doppio quasi di quello che avea scritto in un anno e mezzo, e sopra materie appartenenti sopra tutto alla nostra natura, a differenza dei pensieri passati, quasi tutti di letteratura), a divenir filosofo di professione (di poeta ch’io era).»1

In queste parole c’è la confessione sincera e la spiegazione vera dell’origino della filosofia del nostro autore. Dalla infelicità sua, che cominciò a sentire in un modo più tenebroso, fu condotto a sentire l’infelicità certa del mondo, a sentire cioè nel dolore suo il dolore mondiale; e per effetto di questo sentimento, cominciando a riflettere sopra le materie appartenenti alla natura umana, divenne, com’egli dice, filosofo; cioè rintracciò l’intima essenza delle cose nel dolore e nel male.

Dal 1819 in poi, per alcuni anni, quasi non passò giorno ch’egli non scrivesse qualche pagina dello Zibaldone: non rari erano i giorni nei quali ne scriveva più d’una; non rarissimi quelli nei quali ne scriveva molte: tanto che nel corso di circa dodici anni le pagine raggiunsero il numero di 4526. Nell’anno 1820 ne scrisse 366; nel 1822, 345: i due anni nei quali ne scrisse un numero veramente straordinario, più di due terzi dell’intero Zibaldone, furono il 1821 e il 1823; nel ’21 ne scrisse 1851; ner23, 1344: degli ultimi sei anni i soli due nei quali superò le cento pagine furono il 1824 e il 1828. Il 1829, nel quale ne scrisse 97, si può considerare come l’ultimo anno dello Zibaldone, non essendoci dopo di esso che due sole pagine degli anni 1831 e 1832.


  1. Giacomo Leopardi, Pensieri di varia filosofia ec., vol., I, pag. 250. — Qui ometto alcune parole, il cui significato non è chiaro: e forse vi è errore.