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132 capitolo vi.

mani.... Io non voglio vivere in Recanati. Se mio padre mi procurerà i mezzi di uscire come mi li a promesso, io vivrò grato e rispettoso, come qualunque ottimo figlio, se no, quello che doveva accadere e non è accaduto, non è altro che differito.... Quanto al passaporto, non me lo diede, e se lo ritiene. Ed io ne sono contento, perchè in mia mano m’era più inutile, che non è ora sotto cento chiavi, e mi legava irresolubilmente con la buona fede, dalla quale ora son libero.»1

Inutile dire che il tentativo di fuga non riuscito aggravò ancora la condizione infelicissima di Giacomo. Gli dolse sopra tutto che suo padre desse la colpa della sua disperata risoluzione al Giordani; il quale tanto poco n’era stato consigliere, che la ignorava: e quando la seppe, scrisse all’amico: «Reputo gran ventura che sia stato disturbato il tuo doloroso disegno. Non ti biasimo che l’abbi avuto in mente: ma reputo bene, o assai minor male, non averlo potuto eseguire.» Prosegue cercando dimostrargli che andava a peggiorare, e conclude: «La tua condizione non è felice: ma uno sforzo di filosofia la può sopportare. Figurati d’essere un carcerato: ma ariosa prigione e salubre; buon letto, buona tavola, assai libri: oh Dio; ciò ò ancora meno male che non saper dove mangiare, nò dove dormire. Chi sa; forse un qualclie giorno tuo padre si piegherà.... ma frattanto invoco la tua pazienza, la tua prudenza.»2

Così scriveva a Giacomo in data del 1° novembre colui ch’era creduto da Monaldo il suo cattivo consigliere, l'istigatore alla fuga; e Giacomo il 19 rispondeva: «Sono cosi stordito ddl niente che mi circonda, che non so come abbia forza di prendere la penna per rispondere alla tua del primo. Se in questo mo-



  1. Epistoario, vol. I, pag. 222, 223.
  2. Idem, voi. III, pag. 169, 170.