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le due prime canzoni 129

moria, i disegni che gli si accumulavano in testa. «Non ho più pace, scriveva il 21 giugno al Giordani, né mi curo d’averne. Farò mai niente di grande? né anche adesso che mi vo sbattendo per questa gabbia come un orso? In questo paese di frati, dico proprio questo particolarmente, e in questa maledetta casa, dove pagherebbero un tesoro perchè mi facessi frate ancor io, dove volere o non volere a tutti i patti mi fanno viver da frate, e in età di 21 anno e con questo cuore che io mi trovo, fatevi certo che in brevissimo io scoppierò, se di frate non mi converto in apostolo, e non fuggo di qua mendicando, come la cosa finirà certissimamente.» E il 26 di luglio: «La mia vita è spaventevole. Neil’età che le complessioni ordinariamente si rassodano, io vo scemando ogni giorno di vigore, e le facoltà corporali mi abbandonano a una a una. Questo mi consola perché mi ha fatto disperare di me stesso, e conoscere che la mia vita non valendo più nulla, posso gittarla come farò in breve, perchè non potendo vivere se non in questa condizione e con questa salute, non voglio vivere.»1

Due idee egualmente terribili si agitavano nelr animo del poeta, l’idea della fuga e l’idea del suicidio.

Già altre volte aveva avuto la tentazione d’uccidersi per disperazione d’amore: ora ciò che lo induceva al suicidio era lo spavento di restar cieco: «Io non mi meravigliava, scrive, come altri (nel pericolo di perdere la vista) avesse il coraggio di uccidersi, ma come i più, dopo tale disgrazia, non si uccidessero.» Se non che quando voleva provarsi a mettere ad effetto il feroce proposito si rammentava di quel povero di Luciano, il quale diceva che la vita, per quanto trista e abominevole, è una bella cosa, e la morte, per quanto bella e desiderabile, è bruttissima


  1. Epistolario, vol. I, pag. 206, 207 e 208.