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126 | capitolo vi. |
quanto il Leopardi avesse sulle prime accettato volentieri la proposta dell’amico, forse era incerto sulle cose da raccogliere, e se raccogliere nel volumetto anche taluni degli scritti già pubblicati nello Spettatore in altri periodici. Fossero queste o altre le ragioni, il disegno di quella raccolta non ebbe effetto. Ce n’è ancora un cenno fugace nelle lettere dei due amici del febbraio 1819, e poi più niente.
Ora ciò che più importava al Leopardi erano le canzoni: era impaziente di sapere che effetto avrebbero prodotto. Intanto passavano i giorni e le settimane, e non sapeva che l’amico avesse ricevuto il suo manoscritto. Dubitando che fosse andato smarrito, fece un’altra copia delle canzoni e la mandò al Cancellieri a Roma, pregandolo che glie le facesse stampare. Alla metà di gennaio del 1819 ricevè due copie delle canzoni stampate; ma l’edizione gli parve così obbrobriosa, che pensò di sopprimerla: tuttavia mandò una di quelle due copie al Giordani; e ricevute poi le altre, che gli parvero men brutte, e seguendo il consiglio dell’amico, serbò l’edizione e la divulgò.
Ricevuti e letti i versi, il Giordani non può frenare l’entusiasmo; non trova espressioni che bastino a contenere la sua ammirazione. «Oh nobilissima e fortissima anima! Così e non altrimenti vorrei la lirica.» «Oh mio Giacomino, che grande e stupendo uomo siete voi già! quale onore, e forse ancora quanto bene siete destinato a fare alla nostra povera madre Italia! Coraggio, coraggio.» «Le vostre canzoni girano per questa città come fuoco elettrico: tutti lo vogliono, tutti ne sono invasati. Non ho mai (mai, mai) veduto nè poesia nò prosa, nò cosa alcuna d’ingegno tanto ammirata ed esaltata. Si esclama di voi comedi un miracolo.» «Oh fui pure sciocco io quando (conoscendovi anclie poco) vi consigliavo ad esercitarvi prima nella prosa che nei versi: ve ne ricordate? Oh fate quel che volete: ogni bella e grande