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110 | capitolo v. |
tale diletto, dice, ch’io allora solo in sogno per la primissima volta provai che cosa sia questa sorta di consolazioni, con tal verità che svegliatomi subito e riscosso pienamente vidi che il piacere era stato appunto qual sarebbe reale e vivo, e restai attonito e conobbi come sia vero che tutta 1’anima si possa trasfondere in un bacio, e perder di vista tutto il mondo, come allora mi parve.»1
Di un’altra giovine, di bassa condizione, bella ma molto allegra, un altro appunto ci fa sapere eh’egli la vedeva spesso e che poi la notte la sognava interessantemente. Costei era solita salutarlo. Una mattina, dopo ch’egli nella notte l’aveva sognata, la incontrò, e non ne fu salutato; ciò gli recò molestia.Ragionandoci sopra scrisse: «Eh pazzo! ella aveva altri pensieri ec.: e se non ti piace, se non le ho detto nò le dirò mai sola una parola. Eppure avrei voluto che mi salutasse.»2
Ragazze popolane, ed anche non popolane, il Leopardi ne dovè probabilmente vedere e conoscere anche altre, sfuggite, come ho detto, alle ricerche del Mestica; al quale però non isfuggirono né una giovane Broglio, della quale il poeta lasciò scritto: «Mio amore per la Broglio monacantesi,»3 nè Serafìna Basvecchi; la quale è probabile sia, come il Mestica crede, la donna dell’idillio La sera del dì di festa, e della canzone Per donna malata di malattia lunga e mortale. Coteste due ragazze appartenevano a famiglie aventi relazione con la famiglia Leopardi: cosicché a Giacomo non doverono mancare occasioni di vederle. Che la Basvecchi gli fosse cara, oltre che dal fatto che tutte le giovani gli erano care, si può desumere, come fece il Mestica, da un accenno di una lettera dì Paolina a lui quando la Basvecchi si ma-