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106 capitolo v.

ho dette mi succederà, come necessariamente mi deve succedere e già in parte m’è succeduta, una cosa più fiera di tutte, della quale adesso non vi parlo.»1

Scrivendo queste parole, il Leopardi pensava forse alla Cassi, ne’ cui benigni ma freddi sorrisi non vide certo brillare una favilla d’amore? O pensava forse a qualche altra? Alla figlia del cocchiere, Teresa Fattorini? A Serafina Basvecchi? Che pensasse a qualche altra può darsi: delle due mi pare più probabile la seconda che non la prima; ma potrebbe anche essere un’altra, o più d’una, sfuggite (che pare impossibile) alle diligenti e minuziose indagini del Mestica.



A Prospero Viani, che gli chiedeva notizie intorno agli amori di Giacomo per Silvia e Nerina, Carlo Leopardi rispose nel 1846: «Molto più romanzeschi che veri gli amori di Nerina e di Silvia. Sì, vedevamo dalle nostre finestre quelle due ragazze, e talvolta parlavamo a segni. Amori, se tali possono dirsi, lontani e prigionieri. Le dolorose condizioni di quelle due povere diavole, morte nel fiore degli anni, furono bensì incentivo alla fantasia di Giacomo a creare due dei più bei tratti delle sue poesie. Una era la figlia del cocchiere, l’altra una tessitora.»2 Questa (la Nerina del poeta) fu dal Mestica identificata in una contadina per nome Maria Belardinelli. Silvia sappiamo ch’era la figlia del cocchiere già nominata, Teresa Fattorini, tessitora anche lei.

Intanto per la testimonianza di Carlo possiamo dire che Giacomo non fu veramente innamorato di nessuna delle due. Egli non si innamorò mai, che

  1. Epistolario, vol. I, pag. 127, 128.
  2. Idem, vol. III, pag. 428.