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i primi amori 103

In questo tempo il Leopardi, come si vede, vagheggiò per le poesie d’amore che gli ronzavano per la testa la forma della elegia. C’è ne’ suoi manoscritti anche il disegno di un’altra, che non ha, credo, nessuna relazione con l’amore per la Cassi, per quanto abbia in un punto una certa affinità con l’argomento dell’ultima delle tre elegie pensate per lei. Qui il poeta parla in terza persona: l’amante non è lui, ma un altro, che, come lui, ama senza nessuna speranza di essere corrisposto. «Donna, donna, io non ispero che tu mi possa amar mai: povero me, non mi amare, no, non lo merito; infelicissimo, non ho altro che questo povero cuore; non mi ami, non mi curi, non ho speranza nessuna. Oh s’io potessi morire!» L’innamorato sorpreso da una tempesta «si getta in mezzo ai venti e prende piacere dei pericoli che gli crea il temporale; va errando per burroni, ecc. Infine, rimettendosi la calma e spuntando il sole, e tornando gli uccelli al canto, si lagna che tutto si riposa e calma fuorché il suo amore.»1 Il poeta ha un bel nascondersi dietro un innamorato immaginario; questo innamorato immaginario è lui in persona. Escluso dall’amore, l’amore non può in lui trovare altra espressione che di angoscioso lamento. Così ha cominciato, così seguita, così finirà. All’elegia succederà l’idillio, all’idillio la canzone; ma il contenuto dei suoi versi amorosi sarà sempre lo stesso; se non quanto, perfezionandosi la forma, l’accento della disperazione diventerà più straziante.



Le smanie e le afflizioni dell’amore per la Cassi, come s’è veduto, finirono presto. Il poeta dopo pochi giorni tornò alla sua vita normale; riprese le sue

  1. Nelle carte napoletano ora in corso di stampa.