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le prime relazioni con p. giordani 89

Nell‘'Elegia sono invece i primi lampi dell’ingegno poetico dell’autore. La terzina petrarchesca, trattata non senza un po’ di stento nella Cantica, ha nella Elegia un’andatura più franca, per quanto non anche sicura, e trova in due o tre punti accenti di passione vera. Vedremo nel capitolo seguente che essa fu composta nei giorni dal 14 al 16 dicembre 1817, quando il poeta, trovato finalmente un soggetto sul quale fissare l’amor suo, era proprio nel fervore della passione.



Il 14 luglio 1817, scrivendo al Giordani, Giacomo si lasciò, verso la fine della lettera, sfuggire queste parole: «Addio, Giordani mio. M’è gran conforto il pensare a voi in questa mia, per più cagioni da qualche tempo, infelicissima e orrenda vita.»1 Il Giordani spaventato domandò spiegazioni, ed ei gli rispose l’8 agosto, cercando temperare l’effetto di quelle parole: «Quando un giovane dice d’essere infelice, d’ordinario s’immaginano certe cose che io non vorrei che s’ immaginassero di me.... Benché io desideri molte cose e anche ardentemente, com’è naturale ai giovani, nessun desiderio mi ha fatto mai né mi può fare infelice.... Ma mi fa infelice primieramente l’assenza della salute, perchè, oltreché io non sono quel filosofo che non si curi della vita, mi vedo forzato a star lontano dall’ amor mio, che é lo studio.»2 Aggiunge che l’altra cosa che lo fa infelice è il pensiero, il quale lo ha in sua balia, ed al quale non può sottrarsi per la mancanza assoluta di qualsiasi svagamento e distrazione.

  1. Epistolario, vol. I, pag. 84.
  2. Idem, pag. 86.